venerdì 6 settembre 2013

Jung sull'I-Ching

Un'interessantissima prefazione scritta da Jung al libro dell'I-Ching che approfondisce gli schemi mentali del popolo orientale...

Carl Gustav Jung

I Ching

Tra gli studiosi occidentali si è diffusa la tendenza a liquidare quest'opera come una raccolta di "formule magiche", per alcuni troppo astrusa per essere intelligibile, per altri priva di qualsiasi valore. Per più di trent'anni mi sono interessato all'I Ching, questa tecnica oracolare, o metodo di esplorazione dell'inconscio, perchè a me sembrava di non comune importanza. Non è molto facile trovare il giusto accesso a questo monumento del pensiero cinese, così infinitamente diverso dai nostri modi di pensare.

Per capire in generale di che cosa tratti un simile libro è imperativo buttare a mare certi pregiudizi della mentalità occidentale. E' curioso che un popolo dotato e intelligente come i cinesi non abbia mai prodotto ciò che noi chiamiamo "scienza". La nostra "scienza", però, si basa sul principio di causalità, e la causalità è considerata verità assiomatica. Ma un grande cambiamento è ormai avviato. Gli assiomi della causalità sono scossi nelle loro fondamenta: ora sappiamo che quello che noi chiamiamo leggi di natura non sono altro che verità statistiche, costrette perciò ad ammettere delle eccezioni. Non abbiamo tenuto abbastanza conto del fatto che, per dimostrare la validità invariabile delle leggi di natura, abbiamo bisogno del laboratorio con le sue incisive restrizioni. Se lasciamo che la natura faccia da sè, vediamo un quadro ben differente: ogni processo subisce interferenze parziali o totali ad opera del caso, e in misura tale che in circostanze naturali un corso di eventi che si conformi in tutto e per tutto a leggi specifiche rappresenta quasi un'eccezione.
La mentalità cinese, quale io la vedo all'opera nell'I Ching, sembra preoccuparsi esclusivamente dell'aspetto accidentale degli eventi. Ciò che noi chiamiamo coincidenza sembra essere la cosa della quale questa peculiare mentalità s'interessa principalmente, mentre ciò che noi adoriamo come causalità passa quasi inosservato. Dobbiamo ammettere che qualche cosa si possa dire in favore dell'immensa importanza del caso. Una quantità incalcolabile di sforzi umani è rivolta a combattere e limitare i danni o i rischi rappresentati dal caso. Spesso le considerazioni teoriche su causa ed effetto appaiono pallide e polverose a paragone degli effetti pratici del caso. Va benissimo dire che il cristallo di quarzo è un prisma esagonale; è proprio vero - fintanto che si immagina un cristallo ideale.Ma in natura non si trovano due cristalli esattamente uguali, benchè tutti siano palesemente esagonali. La forma reale, tuttavia, sembra sollecitare il saggio cinese ben più di quella ideale. La confusa congerie di leggi naturali che costituisce la realtà empirica contiene per lui un significato ben più importante che non una spiegazione causale di eventi che poi devono di regola essere separati l'uno dall'altro prima che si possa discuterne in maniera appropriata.
Il modo in cui l'I Ching tende a considerare la realtà implica un giudizio poco favorevole per i nostri procedimenti causalistici. L'istante che sta sotto osservazione appare all'antica visione cinese più come un colpo di fortuna che come il risultato ben definito di catene causali concorrenti. Ciò che interessa sembra essere la configurazione che gli eventi accidentali assumono al momento dell'osservazione, e niente affatto le ragioni ipotetiche che apparentemente rendono conto della coincidenza. Mentre la mentalità occidentale pone ogni cura nel vagliare, pesare, scegliere, classificare, isolare, l'immagine che il cinese si fa del momento racchiude ogni cosa fino al più minuto e assurdo particolare, perchè l'istante osservato è il totale di tutti gli ingredienti. Accade così che quando si gettano le tre monete, questi dettagli casuali entrano nel quadro dell'istante d'osservazione formandone una parte: una parte insignificante per noi, eppure colma di significato per la mentalità cinese. Per noi sarebbe un'affermazione banale e quasi senza senso (almeno in apparenza) dire che qualunque cosa avvenga in un dato momento possiede inevitabilmente la qualità peculiare di quel momento. Questo non è un argomento astratto, anzi è un argomento assai pratico. Vi sono certi esperti che all'aspetto, gusto e comportamento di un vino sanno dedurre il sito della sua vigna e il suo anno di origine. Vi sono antiquari ai quali basta un'occhiata per indicare con un'esattezza quasi stregonesca l'epoca, la provenienza e l'autore di un oggetto d'arte o di un mobile. Di fronte a simili fatti bisogna ammettere che i momenti possono lasciare tracce di lunga durata.
In altre parole, l'inventore dell'I Ching, chiunque sia stato, era convinto che l'esagramma elaborato in un dato momento coincideva con questo momento anche nella qualità, e non soltanto nel tempo. Per lui l'esagramma era l'esponente del momento in cui si realizzava - più ancora di quanto potessero esserlo l'ora segnata dall'orologio o i dati risultanti dal calendario - in quanto l'esagramma era concepito come un indicatore della situazione essenziale prevalente al momento della sua origine.
Questa teoria implica un certo strano principio che io ho denominato sincronicità, un concetto che formula un punto di vista diametralmente opposto a quello della causalità. Quest'ultimo, essendo una verità meramente statistica e non assoluta, è una specie di ipotesi di lavoro sul modo in cui gli eventi evolvono l'uno dall'altro, mentre la sincronicità considera particolarmente importante la coincidenza degli eventi nello spazio e nel tempo, scorgendovi qualche cosa di più che il mero caso, e cioè una peculiare interdipendenza degli eventi oggettivi tra loro, come pure tra essi e le condizioni soggettive (psichiche) dell'osservatore o degli osservatori.
L'antica mentalità cinese contempla il cosmo in una maniera paragonabile a quella del fisico moderno, il quale non può negare che il suo modello del mondo sia una struttura decisamente psicofisica. L'evento microfisico include l'osservatore esattamente come la realtà che forma il sostrato dell'I Ching abbraccia le condizioni soggettive, ovvero psichiche, nella totalità della situazione momentanea. Come la causalità descrive la sequenza degli eventi, così per la mentalità cinese la sincronicità considera la loro coincidenza.
Orbene, i sessantaquattro esagrammi dell' I Ching sono lo strumento mediante il quale si può determinare il significato di sessantaquattro situazioni differenti e insieme tipiche. Queste interpretazioni sono l'equivalente delle spiegazioni causali. Il nesso causale è statisticamente necessario e può quindi essere sottoposto a esperimento. Poichè le situazioni sono ogni volta uniche e non possono essere ripetute, sembra impossibile, in condizioni normali, fare esperimenti con la sincronicità. Nell'I Ching il solo criterio di validità della sincronicità è l'opinione dell'osservatore, per il quale il testo dell'esagramma corrisponde a una fedele riproduzione del suo stato psichico.Si presuppone che la caduta delle monete sia proprio quale deve essere necessariamente in una data "situazione", in quanto ogni cosa che avviene in quel momento vi appartiene quale indispensabile elemento del quadro. Essa forma il disegno caratteristico di quell'istante. Ma una verità ovvia come questa rivela la sua natura significativa soltanto nel caso che sia possibile leggere il disegno e verificarne l'interpretazione, in parte mediante ciò che l'osservatore conosce della situazione soggettiva e oggettiva, in parte mediante il carattere degli eventi successivi.
L'argomentazione che ho esposto fin qui non si è mai affacciata, è ovvio, a una mente cinese. Al contrario, secondo l'antica tradizione, sono delle "entità spirituali" operanti in modo misterioso quelle che fanno dare una risposta sensata. Queste entità formano, per così dire, l'anima vivente del libro. Essendo così quest'ultimo una sorta di essere animato, la tradizione vuole che all'I Ching si possano porre delle domande nella fiducia di ottenerne risposte intelligenti. Le risposte sensate e piene di significato sono la regola. Se l'I Ching non è accettato dalla coscienza, almeno l'incoscio gli va incontro a metà strada, e l'I Ching è più vicino all'incoscio che non all'atteggiamento razionale della coscienza.
Devo confessare che durante la stesura della prefazione non mi ero sentito troppo a mio agio, giacchè, per il mio senso di responsablità verso la scienza, non ho l'abitudine di asserire qualcosa che non posso provare o almeno presentare come accettabile alla ragione. E' un compito ingrato, in verità tentare di presentare a un pubbico moderno e non privo di senso critico una raccolta di arcaiche "formule magiche" con l'idea di renderle piò o meno accettabili. Io mi sono accinto a questo compito perchè ritengo che nel modo di pensare degli antichi cinesi vi sia ben più di quanto possa sembrare a prima vista.
L'I Ching insiste continuamente sull'importanza di conoscere sè stessi. Il metodo con cui si dovrebbe arrivare a questa conoscenza si presta ad abusi d'ogni genere, e non è fatto, quindi, per le persone frivole e immature; come non è fatto per gli pseudointellettuali e i razionalisti. E' adatto solo per persone ponderate e riflessive che si soffermano a pensare su ciò che fanno e sulle esperienze che vivono. Non ho una risposta alla moltitudine di problemi che sorgono quando cerchiamo di conciliare l'oracolo dell'I Ching con i nostri canoni scientifici correnti. Ma - inutile dirlo - tutto ciò che è "occulto" va lasciato da parte. L'irrazionale pienezza della vita mi ha insegnato a non scartare alcunchè, nemmeno ciò che va contro tutte le nostre teorie (così effimere, nel migliore dei casi) o comunque non ammette spiegazioni immediate. E' inquietante, certo, e non si può mai dire se la bussola funziona o è impazzita; ma la sicurezza, la certezza e la quiete non portano mai a nessuna scoperta. Altrettanto vale per questo metodo cinese di divinazione. E' chiaro che il metodo mira alla conoscenza di sè, sebbene attraverso i millenni sia stato anche messo al servizio della superstizione.
E' ovvio che io sono profondamente convinto del valore della conoscenza di sè; ma che senso ha raccomandare questa conoscenza quando i maggiori saggi di ogni tempo ne hanno predicato la necessità senza successo? Persino all'occhio più prevenuto è chiaro che questo libro rappresenta una sola, lunga esortazione a esaminare con cura il proprio carattere, il proprio comportamento e le proprie motivazioni. Questo orientamento ha un forte richiamo su di me e mi ha indotto ad assumere l'impegno della prefazione.
Non si possono mettere da parte alla leggera uomini della statura di Confucio e Lao-tse quando si sia in grado di apprezzare la qualità del pensiero che essi rappresentano; e meno ancora si può sorvolare sul fatto che l'I Ching fu la loro principale fonte d'ispirazione.
Data l'estrema antichità e l'origine cinese dell'I Ching, non posso considerare anormale il suo linguaggio arcaico, simbolico e fiorito.
L'antica saggezza dell'Oriente dà la debita importanza al fatto che l'individuo intelligente chiarisca i propri pensieri, ma non ne dà nessuna alla maniera in cui lo fa.
Sembra a me che un lettore non prevenuto dovrebbe ora essere in condizione di formarsi almeno un'idea preliminare circa il "funzionamento" dell'I Ching.
[...]

Zurigo, 1949

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